Minimizzare il fatto che dopo
poche settimane dal nostro arrivo in suolo messicano ci sia stato il terremoto
più forte degli ultimi cento anni non è estattamente cosa facile, per quanto mi
renda conto che farei meglio a non lamentarmi e ringraziare la mia buona stella
perché dopo tutto non ci è successo nulla. Quando siamo stati qui in visita in
aprile, l’argomento terremoto era stato abbondantemente affrontato con la
nostra guida, la quale ci aveva rassicurato che dopo il sisma del 1985 molti
edifici (tradotto: quelli che non si sono polverizzati) sono stati messi in
sicurezza, mentre tutti quelli di nuova costruzione sono oggi antisismici.
Esattamente, la signora si era espressa così: A Città del Messico c’è un sacco di corruzione, molto cose non
funzionano, abbiamo tantissimi problemi ma una delle poche cose su cui non si
scherza sono le certificazioni antisismiche degli edifici. Pur avendole
sostanzialmente creduto, abbiamo preferito andare ad abitare in una palazzina
di due piani piuttosto che in un grattacielo di trenta.
Il pensiero di quanto io sia
stata astuta non mi ha però sfiorata l’altra notte, quando – nel primissimo
sonno – ho cominciato ad imprecare all'indirizzo della mia dolce metà,
sicura che si stesse crogiolando in agitatissimi sogni. Quando lui, al mio ma la smetti di muoverti, ha risposto guarda che non sono io, nell'ordine: mi
sono completamente svegliata, mi si è gelato il sangue, il letto ha ballato la
samba, il pesce rosso della mia vicina ha tirato le cuoia (della serie: anche i
pesci rossi nel loro piccolo hanno paura).
Il mio primo pensiero razionale invece é stato domandarmi chi me l'avesse fatto fare di trasferirmi in un paese così pieno
di complicazioni, quando in fondo me ne stavo così bene in Città Studi a
Milano, dove il massimo dell’emozione è il tram numero 23 che cambia nome e
diventa 19.
La cosa più frustrante, a
posteriori, è stato rendersi conto che di fronte al pericolo abbiamo avuto la
reattività di due bradipi in slow motion e, come se non bastasse, abbiamo fatto
tutte le cose che a quanto pare NON bisogna fare: accendere la luce/avvicinarsi
alle finestre/scendere le scale. Se ho capito bene, finché la terra trema
bisogna stare fermi, possibilmente in posizione fetale, vicino – ma non sotto –
ad arredi ingombranti, come letti, divani e similia o, se si è più sgamati,
posizionarsi in prossimità di travi o muri portanti.
Io vengo dalla Pianura Padana
dove la terra trema soltanto quando la
colf del mio vicino del piano di sopra (che pesa 90 chili per un metro e trenta) passa
l’aspirapolvere con gli zoccoli del Dr. Scholl, dunque non ho cultura su quel che si debba
fare in caso di sisma perché non lo insegnano a scuola, né negli uffici o nei
luoghi pubblici. Fondamentalmente non serve. Qui invece si. Solo che ho
avuto l’impressione che in Messico ci sia un po’ di confusione su come fare
prevenzione. Insomma, è tutto un po’ aumma
aumma e le teorie sul da farsi tendono a confondersi. Quel che è certo è
che i Messicani con cui ho avuto a che fare io dopo la scossa hanno dimostrato un
approccio estremamente easy, come accade a tutti coloro i quali hanno
familiarità con qualcosa di disgraziato, che sia il terremoto, la guerra o la
criminalità organizzata.
Chiedo lumi al mio portinaio?
Ma si - mi dice - tu stai ferma, aspetti che passi e poi tutto torna come prima.
Le scuole chiudono il giorno dopo
per verificare che non ci siano stati danni strutturali?
E che cacchio - protestano le mamme sulla chat di classe - io c’ho il compleanno di Nico a scuola e ho
pronta una torta a forma di Minion da cinque chili. Che faccio ora?
Non dicono, chessò, povero
Chiapas, mannaggia che culo che ci è andata di lusso o bene che non è successo
nulla. No, il problema è la TORTA. E il povero Nico senza la sua festa a
scuola.
A riprova che di mamme deficienti è pieno il mondo.
Il migliore però è stato
l’insegnante di educazione fisica di
Alice. Vedete bambini - spiega costui – se c’è un terremoto vi dovete mettere
così, con le mani sopra la testa, così vi proteggete ben bene. E lei ci
mostra come ha detto il maestro, con i pollici uniti e i palmi delle mani capovolte
all'indietro, come una sorta di schermo magico, mentre a me viene in mente la canzone Il Pippero, di Elio e le Storie Tese quando recita "Ruotiamo le dita e uniamo le falangi!"
E il bello è che lei ci crede
davvero. E - temo - anche il suo maestro di educazione fisica.
E' brutto ridere delle disgrazie altrui, ma il tuo pesciolino mi ha fatto sbellicare!!!! Cora
RispondiEliminaEh ehehe
RispondiElimina... non sminuirei cosi tanto il nostro quartiere... Oltre al terremoto mediatico del 23 declassato a 19, abbiamo avuto anche qui i nostri bei fattacci di cronaca, come il Williams che dopo anni e anni di onorati Spritz e stuzzichini a Km 0, chiude i battenti... per debiti di gioco, si dice.
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