domenica 24 dicembre 2017

BIZZARRIE MESSICANE PARTE SECONDA

Ridere un po’ del paese che tanto cortesemente ci ospita non deve essere inteso male da chi legge, specie se messicano (dubito che ci siano messicani che leggono il mio blog, ma é così per dire). Mi piacerebbe molto poter fare lo stesso con la mia terra, o meglio ancora con Milano, la mia città, ma come è ovvio,  non si guarda con gli stessi occhi un paese, quando é il proprio. Ecco dunque che probabilmente delle cose che per me sono bizzarre, per i nostri amici chilangos sono normale amministrazione.

Partiamo da qualche banalità, tipo camminare per strada: una cosa che non ho ancora capito é il perché non esistano quasi da nessuna parte i semafori pedonali.  Ad esempio, nelle grandi arterie del mio quartiere, c’è grosso modo un semaforo ogni quattro incroci, peccato che il suddetto non sia in alcun modo visibile ai pedoni: ne esiste un unico grande per carreggiata, appollaiato a circa 8 metri d’altezza e solo nel senso di marcia delle auto. Se tu sei a piedi e vorresti – chessò – attraversare, molto spesso intuisci che é rosso solo perché le macchine della tua direzione sono ferme. Oppure puoi torcere il collo fino a rischiare una semi paresi cervicale per riuscire a sbirciare il colore, schermandoti gli occhi dal sole con le mani, fino a quando vedi che é verde, ma il tempo di ritornare in posizione naturale e smettere di vedere puntini luminosi e nani da giardino per via dell’accecamento solare, che ormai é rosso e probabilmente ti metteranno sotto.

Sempre per strada, ho scoperto che se una macchina ti cede il passo non bisognerebbe ringraziare alzando la mano e mostrando il palmo, ma alzare la mano e mostrare il dorso. Peccato che a me viene troppo da ridere a farlo, perché mi sembra innaturale, quindi il risultato é che indugio e muovo la mano tipo regina Elisabetta quando saluta la folla. A quanto pare il nostro più tradizionale cenno di ringraziamento appare al messicano come un poderoso vaffa, un po’ come dire: “ecchecazzo, era ora che qualcuno si fermasse!” quindi diciamo che sarebbe meglio adeguarsi al più presto.
Per il mio bene, ecco.

Se uno ha nostalgia del peggio-del-nostro-peggio della Cina, in Messico si può trovare a proprio agio perché talvolta si incappa in simpatiche analogie. Tanto per dirne una, il divieto di non buttare la carta igienica nel water. Questa abitudine, che immagino non nasca da uno scrupolo ecologista ma solo dal fatto che fanno le fognature con i piedi (per non usare altre espressioni più calzanti), obbliga a buttare la carta igienica usata non nel vaso, ma in gradevolissimi contenitori che ovviamente sono sempre stracolmi quando é il proprio turno.  Insomma, dopo l’assenza del bidet, é certamente una delle maggiori piacevolezze fornite dalla fantasia creativa di questo paese.

Una delle cose che invece ai non messicani provoca maggiore ilarità é sicuramente l’abitudine di usare il diminutivo per ogni sorta di aggettivo, sostantivo e situazione che lo richieda (o anche che non lo richieda). In Messico, insomma, tutto é ITO. E se probabilmente anche un accademico de la Cruscas castigliano indulge in simili vezzi, qui a volte, proprio si esagera. La casa quindi é subito casita. La persona non é enferma, ma enfermita. Non ci vediamo mañana, ma mañanita.  E via così: pobrecito, princesita, preciosito.
L’altro giorno ho pure beccato il bonus, quando ho sentito con queste orecchie CHIQUITITITO.
E poi c’è il famigerato ahorita. L’espressione - diminutivo di ahora, cioé ora – é lo spauracchio di qualsiasi expat, essendo un concetto che può significare indistintamente:
Adesso
Un attimo
A breve
Tra un po’
Più tardi
Quando posso
Vediamo dopo
Salamadonna
Non rompere i coglioni.
L’ahorita spaventa i più perché incarna la flemma messicana, il rimandare a un tempo indefinito qualsiasi azione, appuntamento, impegno, mansione, onere, attività sia essa ludica, professionale, seria o faceta, urgente o meno. L’ahorita é uno stile di vita, un limbo di indefinitezza in cui si sopravvive solo se lo si accetta. E in effetti io ci devo ancora lavorare su parecchio.
Il paradosso é che questa dilatazione temporale diventa anche un eccesso spaziale. Mi spiego: se vado da Starbucks e chiedo un espresso macchiato sencillo, non solo aspetterò venti minuti per ottenerlo, ma mi ritroverò con un bibitone da mezzo litro, totalmente imbevibile. Tanto il tempo che aspetti, tanto la quantità che ottieni. Potete quindi applicare questo criterio praticamente a tutti i luoghi in cui ci sia un servizio: quantità gigantesche in tempi biblici. Sulla qualità, beh...non proprio gigantesca.

In Messico usi e costumi quotidiani sono molto peculiari e decisamente differenti dai nostri. A chi dice che ci siano molte affinità tra paesi latini, beh io dico che non è così vero. Per esempio i canoni estetici sono ancora molto distanti. Ai messicani piacciono le forme abbondanti molto più che a noi europei. Non a caso spesso mangiano come se non ci fosse un domani. Ai messicani piacciono vestiti molto colorati, gli stivali a tacco alto e un po’ tamarri, l’eye liner, il rossetto rosso fuoco e i leggins che strizzano la pancia.
Ma soprattutto ai messicani piacciono da morire le sopracciglia.
Possibilmente grandi, scure, folte anzi foltissime, strabordanti, eccessive.
Così, nelle sporadiche occasioni in cui ho frequentato saloni di bellezza per unghie o capelli, la profferta di una “sistematina” alle mie sopracciglia non é praticamente mai mancata. E con sistemata intendo non solo la pareggiata dei pelucchi fuori posto, ma anche l’infoltimento, sia esso eseguito con pelo o con trucco. Devo ammettere che dopo la prima volta in cui ho detto no grazie, sono tornata a casa ed ho riflettuto sul fatto che forse vedere le cose con una prospettiva diversa poteva essere anche una buona idea. Tanto più che un po’ su tutte le riviste ho notato che il ciglione é tornato di moda (mai come qui in Messico, però, vi assicuro).
Allora ho fatto un tentativo molto blando di ritocco delle mie sopraciglia (che sarebbero piuttosto chiare) con un effetto finale al limite del grottesco.
Vi assicuro, un mostro. Un incrocio tra Frida Kahlo e Elio delle Storie Tese.

Giuro, giuro, giuro non lo faccio più. Restiamo pure con le nostre inconciliabili differenze culturali, anche perché il rischio é che la prossima bizzarria (da circo) sia io.


4 commenti:

  1. Grandissima gio non ti immagino con il ciglione folto!

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  2. Perfino la buonanima di Frida aveva esagerato! Urge foto,almeno per ridere un altro po'. Cora

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