martedì 30 gennaio 2018

DIMMI COME MANGI...

Una cosa che non si può proprio vedere qui in Messico è la televisione. 
E lo dico senza pretendere che quella di qualsiasi altro paese sia migliore, Italia inclusa. Però ricordo di aver approcciato il tubo catodico già durante i due viaggi di ispezione lo scorso  gennaio e aprile, con grande scoramento, perché vi assicuro che non c'è assolutamente nulla di vagamente vedibile. Cose vecchie. Cose trash (peggio della De Filippi e ho detto tutto). O vecchio trash.  
Ci è capitato però qualche tempo fa di buttare un occhio su YouTube dal televisore, che aveva in primo piano la stagione appena conclusa di Master Chef Mexico, trasmessa da TV Azteca, canale di spicco paragonabile al nostro Canale 5, per popolarità e ascolti.
Master Chef (che qui si pronuncia mastercéf) è un fenomeno relativamente nuovo qui in Messico essendo solo alla terza edizione, ed è, almeno ai miei occhi, uno specchio notevole del paese, ancor di più se messo a confronto con l'edizione italiana o quella americana, tanto per dirne alcune.
E ora provo a spiegarmi. 
Tanto per cominciare c'è una conduttrice, una sciantosa quarantenne, con trascorsi nel mondo delle telenovelas, che dice cose importanti come: "Menos tres...dos..ahora!". È sciantosa perché si veste sempre come se andasse al Ballo della Rosa del Principato di Monaco, con il risultato di sembrare costantemente fuori posto, a meno di avere come concorrenti l’intera casata dei Casiraghi.  A fare da giudici invece, tre figure inquietanti, due uomini e una donna, sicuramente pregevoli cuochi, ma un po'  bizzarri sotto il profilo umano. E mentre i due uomini li descriverei solo come eccentrici, la donna è veramente un fenomeno inquietante. La Betty (Vazquez, così si chiama) si è presentata nelle precedenti edizioni semplicemente come una materna cuoca oversized, una specie di Wilma De Angelis dei fornelli, ma con parecchie taglie in più. 
Peccato che in questa edizione la popolarità debba averle dato alla testa, perché ha deciso di cambiare look, diventando una sorta di vergine di ferro sadomaso, malauguratamente sempre oversized











Ogni settimana la Betty ha sciorinato un modello diverso di questa specie di armatura (in cui probabilmente potrebbero entrare almeno due concorrenti), un corsetto felpato che puntata dopo puntata è stato declinato in ogni modo: argento, rosso, con i lacci, decorato, in pizzo e via dicendo. Il ché ha reso la presentatrice sciantosa totalmente irrilevante se paragonata a questa mise, tant'è che la credibilità della signora, così agghindata, pare abbia vacillato parecchio anche tra i suoi conterranei. 
Ma andiamo oltre, partendo dal fondo: a vincere è stata una "campesina" (contadina) quasi sessantenne la cui cucina è probabilmente di sostanza, ma certamente non di forma. Che per carità, ci hanno anche fracassato le palle con la storia che un piatto va presentato con originalità, con la pennellata di sugo, il fiore edibile, la spolverata di croccantezza e bla bla. Ma qui si parla di piatti veramente brutti, esteticamente paragonabili a quelli che mi preparo quando pranzo da sola e non ho voglia di cucinare, assemblando ingredienti ad cazzum  per fare in fretta e mangiando in piedi di fianco al bancone della cucina. 
Ha vinto questa donna e questo tipo di cucina perché è la massima espressione della Tradizione, che per i messicani non è importante, è ESSENZIALE. Ed alla base della Tradizione ci sono sostanzialmente questi piatti: tortillas, carne, tacos, zuppa, tacos (ah, li ho già detti), carne, tortillas (dette?), carne e ancora carne. 
Non me ne vogliano i messicani ma la loro cucina é estremamente basica, contrariamente a quanto loro stessi affermano. Qualsiasi messicano vi capitasse di incontrare, nel giro di cinque minuti comincerebbe non solo a parlare di cibo ma soprattutto a sciorinare quanto sia rica la comida mexicana, quanto sia ampio lo spettro del loro cibo, quanta la varietà e i sapori. La verità è che per quanto si tratti di un tipo di cucina piacevole e relativamente facile al gusto, gli ingredienti che la compongono sono molto pochi, per cui si tratta di varianti degli stessi elementi incrociati in modo diverso: mais, frijoles, avocado, chili, carne e a volte pesce.
E qui si torna a Master Chef,  in cui per sedici puntate di sono succeduti piatti in buona parte orrendi, presentati in orrende stoviglie di coccio e con quella costante sensazione di deja-vu. Come se non bastasse, due volte su tre ai concorrenti veniva chiesto di preparare un piatto a scelta. Che, voglio dire, se posso sempre scegliere di cucinare il cavolo che mi pare, tanto vale che mi presenti pure io l'anno prossimo, che con le mie creazioni da casalinga disperata rischio di fare un figurone.
I concorrenti sono il solito mix umano che abbiamo visto un po' in tutto il mondo, con la differenza che qui si calca parecchio la mano sul disagio sociale. Buona parte dei partecipanti sono di ceto basso o molto basso, e la mia impressione era che più la loro condizione emergeva dalla parlata, dai vestiti sciatti, dai denti mancanti, dal sovrappeso e più venivano apprezzati dai giudici (e probabilmente dal pubblico). Il concetto di riscatto sociale oggigiorno sembra passare solo attraverso i fornelli (o le canzonette) un po' ovunque, ma qui siamo all'ennesima potenza.
Nulla è glamour in Mastercéf Mexico. Anzi, si spinge al massimo sulla realtà della gggente comune, il loro disagio economico, sociale, culturale, non a caso ogni puntata dura in media un’ora e quaranta minuti, più del doppio della versione italiana. Ma attenzione: la differenza di tempo non la fanno le prove in più perché il format è identico ovunque. Ad allungare la minestra sono i commenti di TUTTI i concorrenti ogni volta che devono cucinare il solito piatto favorito, che gli ricorda l'infanzia, la nonna che gli insegnava a fare le tortillas, il duro lavoro nei campi o l’herpes del cugino di terzo grado. E vi assicuro che dopo il sedicesimo commento strappalacrime, tra una spignattata e l'altra, il prolasso uterino é dietro l'angolo.
Altro aspetto non banale: in ogni edizione partecipa sempre almeno una suora o un prete o - se si mette male - ci sono comunque almeno un paio di concorrenti che estraggono dalla tasca l'immaginetta del santo favorito. Se pensate che l'Italia sia un paese fortemente cattolico non avete mai vissuto in Messico. Un paese in cui la compagnuccia di tua figlia viene a casa tua a giocare e tra un boccone e l'altro di merenda, anziché chiedere se siamo interisti o juventini, ti chiede se siamo cattolici o cristiani. 
Lo strano é che il programma me lo sono guardato fino alla fine, puntata dopo puntata, prolasso dopo prolasso, e non per sapere chi avrebbe vinto, dal momento che lo avevo sapevo già, ma perché questo strano connubio tra santi e contadini, logorrea e orgoglio nazionale, semplicità ed ingenuità alla fine ti conquista, ti crea affezione e capisci che - se non un posto nel tuo cuore - almeno uno nel tuo stomaco ci sarà sempre.



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