domenica 15 ottobre 2017

VAMOS AL COLEGIO!

Tornati alla nostra nuova routine, ci sarebbero diverse cose di cui vorrei parlare, ma aspetto di avere un po’ più di carne al fuoco. Nell'attesa, ne approfitto per fare un quadro della scuola delle mie bambine, premettendo che evidentemente non tutte le scuole messicane sono come la loro e che quindi questa è strettamente la mia opinione.
Tanto per cominciare in Messico la scuola si definisce colegio, parola che a noi tutti fa venire un po’ i brividi e ricorda un istituto correttivo e non un luogo particolarmente ameno. In particolare, questa scuola si chiama British American School e in effetti non ho ancora avuto il coraggio di chiedere alla direttrice il perché di questa scelta.
Ipotesi uno: è di matrice americana ma con la divisa all’inglese.
Ipotesi due: segue il modello inglese ma si mangia junk food.
Ipotesi tre: dovevate riempirvi la bocca con un nome altisonante.
Probabilmente un po’ di tutto.
Intanto perché hanno effettivamente la divisa, il ché  non è una grande novità per le mie figlie, che vengono da una vita in divisa: in Cina la portavano (ed era una delle più brutte divise della storia dell’umanità) e poi, back to Italy, siamo passati al più deprimente grembiule bianco, con collo extra large tipo “preppy” da paninaro, scelta alquanto controcorrente per l’Italia da parte di un istituto decisamente tradizionalista. Fortunatamente questa divisa è più carina e – effettivamente – molto inglese: polo bianca con stemma, scamiciato a scacchi, golfino blu, scarpa nera e calza bianca lunga. Più la tuta nei giorni di ginnastica.
Per inciso: solo solo io, figlia degli anni Settanta, che se chiedo “Ma oggi hai ginnastica?” a mia figlia, vengo presa per il culo per il resto della giornata perché oggigiorno a scuola si fa educazione fisica, oppure palestra, o più frequentemente per chi è bilingue pi-ì (pronuncia di PE, cioè Physical Education)?
Tant’è.
Il bello della divisa è che non c’è scelta. Hanno solo quella da mettere, quindi non ci sono proteste, musi lunghi, variazioni sul tema e così via.
Il brutto della divisa è che, a meno di non comprarne una batteria da dieci pezzi, se scopri alle 6:40 am che la sola ed unica che hai comprato è irrimediabilmente impataccata, allora sei fritta e cominci ad imprecare contro la mancanza di libero arbitrio di questo mondo crudele.
La scuola qui dura pochino. Ora, io al momento non lavoro, ma la donna messicana, esattamente al pari di quella italiana, non solo lavora, ma lavora parecchio. Mi chiedo dunque il perché di questa scelta di far concludere la giornata scolastica in un orario che oscilla tra la una e le due e trenta, a meno di improbabili attività pomeridiane, che comunque non avvengono che un paio di volte a settimana e traghettano al massimo fino alle quattro. Forse la madre messicana confida che il proprio figlio possa rimanere imbottigliato nel traffico talmente tanto a lungo da consentirle di uscire alle cinque, fare pure la spesa ed arrivare comodamente a casa.
Andata e ritorno avvengono via scuola bus, con un imbottigliamento che per l’appunto é variabile tra i quaranta minuti e la ora e un quarto, in un pulmino grazioso ma senza cinture, ché non si può avere troppo e poi tanto vanno così piano per via del traffico, che il massimo del pericolo sarebbe un colpo di frustino.
Le lezioni sono distribuite tra lingua inglese e spagnola, anche se nelle ore in inglese si fa solo inglese, mentre in quelle in spagnolo si fa sostanzialmente tutto il resto: lingua, matematica, storia, geografia, scienze e educazione civica. 
Questa scuola è anomala: è privata, rispetta gli standard IB (programma condiviso di scuola internazionale), ma di fatto le mie figlie sono un’assoluta minoranza in termini di internazionalità. Mi sembra di capire che già le scuole più internazionali di Città del Messico, che poi sono due o tre, hanno una percentuale di studenti non messicani che oscilla tra il 20% e il 30% , il ché è incredibile, se paragonato a Shanghai, dove ogni anno in ogni classe c’erano bambini di almeno otto nazionalità diverse.
Qui, bene che ti va, hai un bambino del Cile o del Brasile.
Bene! - si dirà - Così impareranno prima lo spagnolo! 
Probabile. Però, soprattutto per la piccola che è in prima elementare, è un po’ un handicap perché i compagni non parlano inglese, tranne poche eccezioni, e lei fa ancora molta fatica a socializzare. La tendenza, inevitabilmente, è quella a tagliarla fuori perché non parla spagnolo. E il mio cuore di mamma alle volte un po’ ne patisce.
L’altro aspetto complicato di questa mancata internazionalità sta nel fatto che la scuola segue il programma governativo messicano, con libri di testo forniti dalla SEP, la Secretaría de Educación Pública, che prevede programmi in realtà molto simili alla scuola italiana per quanto riguarda ad esempio matematica, scienze ed educazione civica, ma ovviamente molto differenti per quanto riguarda storia e geografia. Storia, nel programma di quinta, prevede essenzialmente la storia del Messico, dell’Indipendenza del Messico, della nascita del Messico, delle dominazioni subite dal Messico e via dicendo. Che è certamente molto interessante ma forse, e dico forse, un tantino limitato. Mi rendo anche conto che dopo tutto siamo in Messico e che se fossimo in Olanda si parlerebbe della storia dell’Olanda e non certo di quella dell’Italia. Credo che uno scotto da pagare per avere figlie che parlano tre lingue sia il fatto che saranno inevitabilmente ignoranti sulla storia e la geografia del proprio paese, a meno che noi genitori non si insegni loro quel che riteniamo essenziale.
Una cosa che mi manda fuori dai gangheri della scuola in Messico è l’organizzazione del pasto e i suoi dettagli: i bambini vanno a scuola dalle 8 alle 14:30 con una pausa “pranzo” alle 11. Hanno trenta minuti tra una campanella e l’altra per alzarsi, uscire, prendere il lunch box, raggiungere un posto nel cortile e mangiare. Il tempo è oggettivamente poco, soprattutto se si volesse anche fare pipì o, che so, lavarsi pure le mani. Ergo, l’organizzazione del lunch box è un problema che tedia tutte le madri che ho conosciuto fino ad ora perché obbliga a dare qualcosa che sia pratico, oltre che sano. 
E tutto quello che é sano in genere è anche lungo da preparare e non sempre può essere cucinato la sera prima, quindi ti trovi a spignattare alle sei e un quarto del mattino per il cous-cous di verdure o la frittata di patate, con la palpebra che ti cala e la crisi isterica per la divisa impataccata dietro l’angolo. Insomma, per me la mattina è una fatica e rimpiango come non mai la sveglia italiana alle 7:30 e la vecchia, cara, mensa scolastica. Perché qui il massimo della vita è una mini cafeteria in cui si possono comprare hot-dogs di plastica, quesadillas o tacos di gomma e come contorno, caramelle, marshmellows e gomme da masticare. 
Una vergogna su cui non mi soffermerò, ma che resta tale.
La ragione di questi tempi stretti per mangiare è che gli orari dei pasti in Messico sono molto diversi. Alle 11 quindi si fa uno snack, perché il pasto principale della giornata è più o meno tra le quattro e le cinque del pomeriggio.
E lo so che "Paese che vai, usanza che trovi", ma io a questo proprio non ci arrivo. 
Vada per l'alza bandiera del lunedì mattina con saluto e inno patriotico, va bene due ore di bus tra andata e ritorno, passi per lo show con le canzoni messicane anni Ottanta o per la storia di Miguel Hidalgo recitata a memoria.
Ma accogliere le bambine al ritorno da scuola alle quattro con una bella spaghettata fumante, non ce la posso fare. 


3 commenti:

  1. Ho ancora le lacrime agli occhi non per le vicende scolastiche, ma per il disegno che hai fatto! Sembra di vederle in carne e ossa. Tra tre anni ne riparliamo! Cora

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  2. Grande gio sempre uno spasso la lettura ...
    Certo rimpiangere la Milan o ristorazione vuol dire che siete proprio messi male!😁

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