martedì 24 ottobre 2017

IL PLAY DATE

Giusto avevo appena finito di descrivere le mie fatiche di mamma alle prese con la routine messicana, che mi viene la brillante idea di organizzare un play date (pomeriggio di gioco, per chi mi stesse mandando al diavolo della serie “parla come magni”). Dicevo un play date ma doppio, cioè per entrambe le figlie, in modo da rendere tutte contente e al contempo togliermi la rottura di palle in una volta sola perché, come ho già avuto modo di sottolineare, qui le scuole non sono di quartiere, QUINDI non sono sotto casa, QUINDI, le compagne di scuola non vivono nei pressi e SICURAMENTE quelle che piacciono di più vivono agli antipodi. So già che mi aspetterà un pomeriggio pesante, quindi tanto vale metterci il carico da novanta così poi per un po’ sono a posto.
Una figlia decide di invitare Moni, che poi sarebbe Monica.
Piccolo inciso: in Messico i nomi propri sono quasi sempre due, salvo che poi evidentemente gli fa fatica  pronunciarli per intero, così passano da un eccesso all'altro ed abbreviano oltre misura. Quindi Monica diventa Moni, Maria José diventa Majo, Maria Guadalupe è Magu, Patricio diventa Pato, Santiago Luis si abbrevia in Santi, Ana Luisa misteriosamente si trasforma in Patito,  senza dimenticare quelli che si modificano senza una ragione, così scopri che Paco in realtà è Francisco, Pepe sarebbe José e Gaita sarebbe Cayetano, ché poi se mi chiamassi Cayetano avrei già  chiesto i danni ai miei.
Comunque divago: qui le ospiti sono due. Moni, di anni 6 appena compiuti, ma alta circa 135 cm, una bambinona bellissima e molto quieta, e per l’appunto Majo, bimba altrettanto graziosa di 10 anni, che in confronto a quella di sei sembra una nana, come del resto anche le mie figlie.
Avevo pensato di avere un’altra idea geniale chiedendo alla scuola di poter avere entrambe le bambine sullo scuolabus insieme alle mie, ma ho scoperto che ovviamente il venerdì è l’unico giorno in cui questo non è possibile, perché i bus sono pieni in quanto nessuno fa attività pomeridiane. Vabbé, mi tocca andarle a prendere. Peccato che mentre una delle due madri mi dà il benestare l’altra dice che preferisce portarla lei, già che è di strada.
In realtà so benissimo che non è vero, ma mi rendo conto che neanche io, se non conoscessi una famiglia, ci manderei mia figlia a giocare, così a scatola chiusa.
Così mi faccio trovare a scuola, per ritirare tre delle quattro creature, con grandissimo anticipo, avendo l’ansia di imbottigliarmi nel traffico. Nel marasma generale della campanella, ovviamente il servizio online di taxi Cabify decide di rendersi inattivo segnalandomi che la mia carta di credito non funziona più, ché a me la Legge di Murphy mi fa una pippa. Faticosamente riusciamo a fare una triangolazione marito-io-Uberdelmarito cosicché dopo circa venti minuti di attesa sotto un sole che neanche a Cancun in agosto, riusciamo a rientrare alla base.
Ovviamente la mamma sospettosa é già lì che aspetta. Con figlia grande, figlia piccola e tata. Le offro di salire con noi, per un caffè o - chessò - una tequila, ma lei declina e mi dice che ha fretta (o almeno è quel che capisco) ma che oltre alla figlia mi lascia anche la tata, casomai mi servisse aiuto in casa.
Al momento non capisco. Abbozzo, saluto, faccio per aprire il portone e intanto dentro di me penso che non posso aver capito bene, che questa non sta per sbolognarmi la sua donna di servizio a stazionare a casa mia.
Invece ho capito bene.
Mi prende il panico. Il pensiero “E ora che cosa cazzo le faccio fare?” prende corpo, mentre l’imbarazzata signorina rimane impalata a bordo porta per dieci minuti. Le offro acqua, cibo, wifi (che mamma moderna) ma lei ringrazia e dice di no a tutto, finché riesco almeno a convincerla a sedersi sul divano. Tutta in pizzo, però, come una che sta per andarsene.
Intanto io mi eclisso in cucina e comincio a preparare da mangiare.
E qui faccio outing.
Perché lo so che poco più di una settimana fa ho dichiarato nero su bianco che non avrei mai ceduto alle abitudini latine del pranzo a metà pomeriggio, ma qui avevo ospiti e - come credo chiunque altro farebbe - volevo che fossero a loro agio.
Così, alle quattro e mezza del pomeriggio, le quattro fanciulle si sono scofanate una doppia porzione di pasta al ragù, inclusa lezione su come si fa la scarpetta con il sugo (ribattezzata zapatilla, ovviamente), più fetta di viennetta, tazza di gelato alla vaniglia con frutti di bosco e topping al cioccolato. Lo straordinario è che non hanno mangiato solo le due bambine messicane, ma anche le mie. Facendomi venire il dubbio che la fetta di pane e Nutella che abitualmente gli propino a merenda sia per loro un misero ripiego che accettano a testa china.
Per me, manco a dirlo, una clamorosa rottura di palle, anche perché forse non ho ancora rimarcato che nella stragrande maggioranza delle case di città del Messico (o sicuramente in TUTTE quelle che avevamo visitato noi, che non erano poche), anche se signorili e da 250 metri quadrati, manca la lavastoviglie. Magari c’è il frigorifero americano, la lavatrice con asciugatrice incorporata di ultima generazione, ma i piatti si fanno a mano. E nel mio caso, per giunta, con uno spazio di manovra veramente risicato.
Ebbene, lo so che vi starete chiedendo se ho fatto due più due, associando montagna-di-piatti-da-lavare-incrostati-di-sugo-e-gelato a donna-di-servizio-altrui-spiaggiata-sul-mio-divano-a-cazzeggiare. Ho associato, si. Ma non ce l’ho fatta. Non ho l’anima della matrigna.
Così, io ho passato un’ora a ripulire la mia cucina pezzata e lei le restanti due in piedi, a sorvegliare la figlia della sua padrona che giocava in camera con la mia.
Per il prossimo play date aspettiamo almeno marzo, grazie.





2 commenti:

  1. ... ma io non lo so come fai a farmi sempre sbellicare fino alle lacrime...
    te l'ho detto, hai un talento.. libri comici illustrati per ragazzi, forse?

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