mercoledì 13 giugno 2018

LA KILLER DI MUCHACHAS

Quando si vive all'estero le classiche cose che a casa propria sono più o meno di routine possono diventare abbastanza complicate se non si colgono sin da subito le dinamiche locali. O in alcuni casi se si ha una buona dose di sfiga, come è capitato a me con un tema capitale: trovare una donna di servizio decente e, soprattutto, riuscire a mantenerla.

Grossomodo come in Cina, e scusate se continuo a reiterare il paragone, la donna di servizio è un must tanto dei locali quanto degli stranieri, perché costa poco, se paragonato all'Europa o agli Stati Uniti. Una donna di servizio qui viene pagata tra i 50 e gli 80 pesos all'ora, ovvero dai due ai quattro euro. Per questo motivo molte persone (benestanti) preferiscono quella che viene chiamata la muchacha de planta, ovvero la donna fissa, che dorme in un suo piccolo stanzino e quindi è disponibile tutta la settimana, in genere 6 giorni su 7. In alternativa esiste la muchacha entrada por salida, che lavora diverse ore al giorno per un numero di giorni variabile.
Nel mio caso, un po’ perché non ho il famigerato stanzino (il cosiddetto “cuarto de servicio” che nel giro case dell’anno scorso sembrava essere la parte più essenziale di ogni appartamento) e un po’ perché non amo avere gente intorno, opto per la seconda scelta, limitando le mie necessità a due giorni a settimana. Mi informo e mi rendo conto che trovare una persona di servizio è molto facile, mentre trovarne una raccomandata è ben più difficile. Dove per raccomandata si intende onesta ma non necessariamente brava o capace.
O, chessò, veloce.
Primo tentativo: arriva Karina (detta Kari) signora molto silenziosa, a tratti truce,  che lavora abbastanza bene e che tengo un paio di mesi. Peccato che ai miei occhi Karina ha due difetti: arriva al lavoro intorno alle 10:30 e un giorno su tre ha un figlio malato/morente/infermo/senza scuola, cosicché i miei due efficacissimi giorni alla settimana diventano sempre più spesso quattro miseri giorni al mese. Inoltre ‘sta cosa che arrivi così tardi mi spazientisce: in Messico la scuola inizia prestissimo quindi io alle 7:30 sono già operativa e volendo già docciata, vestita e pimpante (si fa per dire). Dover stare in attesa della muchacha per le successive tre ore, con il rischio che rimanga per casa ben oltre il rientro delle mie figlie da scuola, con conseguente occupazione dei principali spazi vitali suoi e nostri, l’ho ritenuta una cosa ingestibile.
Decido quindi di salutare Karina dandole il benservito, con grandi proteste da parte sua.
Più o meno negli stessi giorni appare alla mia porta Jennifer  (detta Jen), inviatami dalla signora del piano terra su raccomandazione della sua muchacha. Ed ecco che l’arrivo di Jen mi sembra una visione. Perché  mi dice che può arrivare alle 8:30, chiede meno soldi e non ha figli. 
Non posso credere alla mia fortuna, che però dura pochissimo. 
Jen ha la velocità nelle pulizie del bradipo Flash, pulisce come mia figlia con le sue richieste, ovvero girandoci intorno, e dulcis in fundo mi chiede se può fare colazione a casa mia dal momento che arriva così presto (che poi, vabbé presto…).
I più attenti ricorderanno che anche a Shanghai ero stata folgorata dalla richiesta della donna di servizio, la mia mitica ayi, di potersi fare la doccia dopo il lavoro. E se inizialmente la cosa mi aveva turbato, in seguito avevo capito che era una richiesta abbastanza comune dovuta al fatto che molta gente (povera) non ha la doccia in casa, se non addirittura il bagno.
Ecco quindi che la richiesta della colazione mi sembra una cosa molto ragionevole da parte sua tanto quanto accettarla pare democratica e open-minded da parte mia. La tipa lavora nei giorni in cui ho classe di spagnolo, quindi la vedo al massimo una mezz'ora prima di uscire e a volte non la incrocio neanche quando rientro. Mi rendo però conto che ogni volta il frigorifero è praticamente saccheggiato: come minimo si fa fuori tre uova e almeno un quarto di litro di latte, oltre ad insaccati o formaggi se ne trova. Una volta torno a casa prima del previsto e la trovo in bagno, dal quale proviene rumore di musica e in cui si trattiene almeno dieci minuti, mentre la cucina è un campo di battaglia : padelle, frullatore e piatti sporchi in giro.
Mentre anche le mie palle frullano, aspetto che esca dal bagno e intanto parlo con mia figlia, che ero andata a prendere a scuola prima del tempo. Quella esce, rassetta alla bene e meglio e se ne va senza neanche salutare. Al ché, frullatissima, le scrivo un messaggio minatorio in cui la cazzio a dovere. Lei risponde implorante che aveva mal di pancia (ettecredo) e che mi aveva salutato, ma piano perché stavo parlando con la bambina. Decido di darle un’altra possibilità, anche perché non mi sorride dovermi mettere a cercare un’altra volta. Dopo un paio di altre settimane però, la famelica Jen si dimostra rapida solo a razziare il mio frigorifero, cosìcché mi trovo costretta a salutare anche lei.
Stessa scena strappalacrime della precedente, stesso pippotto sulla difficoltà di trovare lavoro, stesso senso di colpa mio. 
Comincio a sentirmi a disagio. 
Io, che in quasi 5 anni in Cina non ho mai avuto il coraggio di cacciare la mia ayi perché in fondo mi ero affezionata anche se era una schiappa a pulire, mi scopro una “killer di muchachas” in piena regola.
Determinata a darmi un break in questa estenuante ricerca, vengo spiazzata da una amica che mi pone la fatidica domanda: “Cerchi ancora?” ed io ho la brillante idea di dire di si. Soprattutto perché le premesse paiono allettanti: si tratta della figlia trentenne della muchacha della mia amica. Purtroppo ha figli come la prima (vabbé, solidarietà femminile, dai!) e purtroppo può arrivare solo alle 10:00 (suvvia, ma in fondo cosa cambia!) però in un certo senso é raccomandata, mi dico (da sua madre, aggiungerei con il senno di poi), quindi butto il cuore oltre l’ostacolo ed ecco che Guadalupe (detta Lupe) si presenta alla mia porta. Appare da subito efficiente, a suo agio, forse troppo, specie quando il secondo giorno di lavoro mi chiede se ho vestiti da bambini da regalarle e se posso raccomandarla a qualche mia amica perché cerca altro lavoro. 
Perplessa lascio correre.
Poi però, una settimana dopo l’arrivo di Lupe, scopro con orrore che una bella mazzetta di Euro che avevo nascosto nel mio closet sotto una pila di magliette é scomparsa. Volatilizzata. Il dubbio però mi attanaglia: se è certo che è stata una donna di servizio, lo è molto meno capire QUALE delle due, dal momento che la mazzetta era lì da un bel po’.
L’ingorda Jennifer o l’impertinente Lupe?
Voglio ovviamente credere con tutta me stessa che sia stata la prima, dal momento che la seconda sta lavorando ancora da noi, però non sono tranquilla, perché la certezza matematica non posso averla. Tanto più che mi sembra strano che una (Jen) che mi ha fregato un malloppo pari a circa quattro mesi del suo stipendio, mi continui a scrivere in cerca di lavoro.
Penso di architettare trappole pecuniarie create a bella posta per verificare se il fatto si ripeta, ma poi non mi sento di essere così bieca e penso che tanto non c’è più molto da rubare, se non il suo stesso salario a fine settimana. Meglio tenermi Lupita, che lavora lenta come la fame e male anche lei, ma la casa è grande e comincia ad averne le palle piene di tutto questo giro di persone.
Poi, il suo bambino si ammala e lei non viene un giorno. Io penso che non importa, ovviamente, e che mi devo rassegnare a questa dinamica e sfoderare davvero la mia solidarietà femminile. Il pomeriggio del giorno prima di quello lavorativo le scrivo chiedendole se il bambino è guarito. Mi risponde l’indomani, ben oltre l’inizio dell’orario di lavoro confermandomi che il piccolo è ancora malato. Abbozzo, chiedendole però di non avvisarmi DOPO l’orario in cui dovrebbe essere a lavorare a casa mia, ma magari un tantino prima. Passa il fine settimana e la sera prima del nuovo giorno di lavoro le chiedo nuovamente se il figlio è guarito.
Passano le ore, niente.
Passa un giorno, nulla.
Passa un secondo giorno, nisba.
A questo punto, furibonda, le scrivo un messaggio in cui la liquido dicendole in pratica che è una maleducata. E lei - ovviamente - non risponde nemmeno a quello. 
Ho poi saputo, tramite la madre che lavora dalla amica, che avrebbe voluto chiamarmi ma siccome il tono del mio messaggio era alterato, non l’ha fatto.
E ora scornata mi ritrovo punto e a capo, con nessuna voglia di sperimentare i piaceri delle muchachas locali, ma almeno con una unica solida certezza.
Ora almeno so per certo chi ci ha fregato i soldi.



2 commenti:

  1. Devo dire che il tuo disegno parla da solo. Che sfiga ,però. Ma,una domanda: la muchacha in spagnolo non è lo scarafaggio?.......Cora

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  2. Ah! no, mi sbagliavo. Quello è la cucaracha! o no!

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